Istituto Allergologico Italiano

Remdesivir: attenzione agli equivoci

Fonti: Repurposed antiviral drugs for COVID-19; interim WHO SOLIDARITY trial results WHO Solidarity Trial Consortium, H Pan, et al. medRxiv 2020.10.15.20209817; doi: https://doi.org/10.1101/2020.10.15.20209817 NEJM Blog of Paul Sax M.D. Does Remdesivir Actually Work? 18 ottobre 2020


Gli esperti dell'OMS hanno appena reso noto i risultati di un vasto studio (SOLIDARITY), condotto in 405 ospedali di 30 Paesi e su 11.266 pazienti adulti, malati di COVID-19, inteso a valutare l'efficacia di quattro farmaci per la cura di questa infezione.

Nello studio, 2750 pazienti sono stati trattati con Remdesivir, 954 con Idrossiclorochina, 1411 con Lopinavir (combinazione a dose fissa con Ritonavir), 1412 con Interferone-β1a e 4088 senza nessuno dei farmaci in studio, come controllo. Lo studio era randomizzato e l'efficacia della somministrazione dei farmaci in studio disponibili localmente era controllato in aperto. L'obbiettivo dello studio era di considerare la mortalità intraospedaliera, l'inizio della ventilazione e la durata del ricovero nei 4 confronti a coppie di ciascun farmaco in studio rispetto ai suoi controlli. Lo studio ha concluso che il trattamento con i quattro farmaci, Remdesivir, Idrossiclorochina, Lopinavir e Interferone, avrebbe un effetto minimo o nullo sul COVID-19 ospedalizzato, come indicato dalla mortalità complessiva, dall'inizio della ventilazione e dalla durata della degenza ospedaliera. Il condizionale in questo caso è d’obbligo, dato che risultati finora resi noti non sono stati sottoposti a revisione critica da parte di esperti come di norma avviene per le pubblicazioni scientifiche. In ogni caso i risultati dello studio pongono un serio problema già fin d’ora sull’utilità o meno del remdesivir nel COVID-19. Infatti, i benefici di remdesivir erano stati dimostrati in precedenza in tre studi clinici randomizzati e controllati, tra cui un vasto studio clinico organizzato dall'NIAID, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo condotto in USA e in Europa (ACTT-1) che ha concluso che il trattamento con remdesivir ha portato a miglioramenti clinicamente significativi su più valutazioni dei risultati nei pazienti di COVID-19 ospedalizzati. Dato che SOLIDARITY e ACTT-1 sono entrambi studi randomizzati e controllati e che hanno arruolato un grande numero di pazienti, a questo punto è difficile dire quale sia la verità.

Nel suo blog sul New England Journal of Medicine, Paul Sax propone una possibile soluzione al problema. Egli infatti sospetta che vi possa essere una differenza importante tra i due studi. ACTT-1 includeva un braccio placebo, era in cieco e ha fornito prove molto forti che il remdesivir funziona davvero. Tuttavia, in questo studio, remdesivir si è dimostrato particolarmente efficace nei malati con sintomi di durata più breve al momento dell'inizio del trattamento e più lievi, cioé in quelli che richiedevano solo un supplemento di ossigeno, mentre non ha aiutato le persone con uno stadio più grave della malattia, tale cioè da richiedere la ventilazione meccanica. I malati che nello studio ACTT-1 non hanno risentito del trattamento con remdesivir si trovavano, cioè, in una fase avanzata della malattia, quando i sintomi erano provocati principalmente dalla risposta immunitaria dell’organismo all'infezione, più che dalla replicazione virale. Secondo Sax ci si dovrebbe aspettare il massimo risultato dal remedesivir nei pazienti in cui il trattamento è stato iniziato con una minore durata dei sintomi. È possibile che molti pazienti dello studio SOLIDARITY, quando sono stati ammessi allo studio, avessero terminato la breve finestra di tempo per beneficiare di questo antivirale. Nella pubblicazione prestampata dello studio SOLIDARITY non è però precisata la durata dei sintomi al momento in cui i pazienti hanno iniziato il trattamento con remdesivir e quindi, mancando questa fondamentale informazione, non si esce dal campo delle ipotesi. Il dottor Sax conclude che, in mancanza di informazioni più precise, dobbiamo attenerci ai dati pubblicati nella loro completezza, cioè solo a quelli dello studio NIH ACTT-1 e consigliare il remdesivir alla maggior parte delle persone ospedalizzate con COVID-19, facendo attenzione ad utilizzarlo il più presto possibile dopo la comparsa dei sintomi.

Concordiamo in tutto con l'opinionista del NEJM, perchè non è prudente accogliere risultati non sottoposti a revisione critica da parte dell'editore a scapito di risultati correttamente pubblicati. Non possiamo esimerci dal deplorare l'abitudine ormai consolidata di rendere pubblico su internet, come pre-print, ogni studio sul COVID-19 senza che esso sia stato sottoposto a una valutazione critica da parte di un comitato di esperti (peer review). Questa politica di prediligere la fretta alla precisione, tra l'altro raccomandata dalla stessa OMS, è stata finora responsabile di fin troppe, alcune perfino clamorose, cantonate nel COVID-19.