Istituto Allergologico Italiano

La lezione dell'autopsia nel COVID-19


Claudio Ortolani

Il rapporto dell’OMS del 12 maggio 2020 riferisce che ci sono stati 283.153 decessi in tutto il mondo per COVID-19. A fronte di questo elevato numero di decessi, soltanto pochi giorni fa, cioè oltre 5 mesi dall’esordio della pandemia è stata pubblicata la prima casistica di autopsie su deceduti da COVID-19. Lo studio è comparso il 6 maggio su Annals of Internal Medicine e riguarda 12 casi di morti avvenute consecutivamente al Centro Medico Universitario di Amburgo- Eppendorf. Ciò che impressiona è l’estrema rarità dei rapporti di autopsie per una malattia che stiamo affrontando senza terapie specifiche e conoscendo ben poco i meccanismi patologici. I vecchi clinici, come sono io erano abituati a seguire i loro pazienti deceduti dal letto della corsia al tavolo anatomico, dove molti misteri che non avevamo risolto venivano chiariti. Imparavamo molto dalla cruda analisi della morte così da poter gestire più attentamente i futuri malati. Come mai è stato trascurato questo esame post mortem in una malattia con così elevata mortalità? Tra le poche giustificazioni di questa realtà, sicuramente ci sono le ragioni di sicurezza, la scelta cioè di limitare il contato con salme altamente infette ma anche il dato di fatto che negli ultimi anni si fanno sempre meno autopsie. C’è infatti la presunzione che questo esame, che è il “gold standard” per stabilire la causa di morte di una persona sia stato ormai superato dalla disponibilità dei reperti della diagnostica per immagini e dall’esito delle biopsie, eseguibili ormai in ogni sede corporea al malato vivente.

Lo studio rivela che in molti casi la vera causa di morte per COVID-19 non era stata menzionata e nemmeno sospettata nel referto clinico di accertamento del decesso. La sorpresa è che in una terzo dei pazienti la morte è intervenuta per una massiva embolia polmonare e che gli emboli erano partiti da una trombosi profonda di entrambi gli arti inferiori o del plesso prostatico, evento riscontrato con alta frequenza (7casi su 12 cioè 58% dei casi), complicanza che era passata del tutto inosservata. In dettaglio le cause di morte sono state: embolia polmonare massiva in 4 casi, con i emboli partiti da una trombosi delle vene profonde bilaterale degli arti inferiori e polmonite con danno alveolare diffuso in 8 casi. In altri 3 casi era presente una trombosi venosa profonda recente, bilaterale degli arti inferiori in assenza di embolia polmonare e 6 pazienti maschi avevano una trombosi venosa recente del plesso venoso prostatico. I polmoni presentavano infiltrati di polmonite di vasta entità e bilaterali. L’esame istologico dei polmoni dimostrava infiltrati infiammatori di linfociti, caratteristici delle forme virali ma quattro casi avevano un’estesa infiltrazione granulocitica degli alveoli e dei bronchi, come da broncopolmonite focale batterica. In 4 casi sono stati osservati dei microtrombi all'interno delle piccole arterie polmonari. Tutti gli altri organi esaminati sono risultati senza lesioni tali da condizionare la morte. Quindi in questa casistica la patologia che ha causato la morte è esclusivamente localizzata al polmone: l’embolia polmonare massiva, in 4 casi e la polmonite virale o batterica in 8. Anche la maggiore concentrazione del virus SARS-CoV-2 è stata sempre trovata nel polmone e in faringe; in metà dei casi il virus aveva invaso il sangue e in questi casi si ritrovava in alta concentrazione anche nel fegato, rene e cuore.

Questo studio focalizza alcuni aspetti patologici e clinici della malattia virale. Il primo è l’elevata frequenza di trombosi profonde con alta probabilità di embolia polmonare massiva, il che spiega perché i tentativi di recuperare i pazienti siano in molti casi del tutto inutili. Il secondo è il frequente riscontro di microtrombi delle arteriole polmonari, che può costituire un importante fattore aggravante della ipossiemia che è una caratteristica clinica importante della malattia polmonare da COVID-19.

Queste osservazioni indicano che la virosi innesca una profonda alterazione della coagulazione del sangue, che a sua volta condiziona pesantemente l’evoluzione della malattia. E’ bene ricordare che già Tang e coll in aprile 2020 aveva segnalato sul Journal of Thrombosis and Haemostasis che i casi più gravi e mortali di una casistica di 183 pazienti consecutivi di COVID-19 ricoverati a Wuhan presentavano alterazioni della coagulazione (aumento del D-dimero e dei prodotti di degradazione della fibrina). Nei giorni successivi, Francesco Marongiu e coll. dell’Università di Cagliari avevano ipotizzato in una lettera allo stesso giornale che in questi pazienti la causa di morte fosse appunto una tromboembolia polmonare massiva o una microtrombosi delle arteriole polmonari, suggerendo già allora l’utilizzo a scopo preventivo delle trombosi nel Covid-19 di anticoagulanti. Si deve a queste segnalazione se nelle Linee Guida del trattamento del COVID-19 è previsto il monitoraggio di alcuni fattori della coagulazione del sangue e l’eventuale utilizzo di anticoagulanti. La comunicazione tedesca ha fatto però emergere in tutta la sua realtà l’importanza delle alterazioni della coagulazione nel COVID-19 con conseguenze spesso letali. Ancora oggi, quindi i clinici possono trarre importanti insegnamenti per la diagnosi e la terapia dai colleghi dell’Anatomia Patologica.

Fonti:
Dominic Wichmann et al. Autopsy Findings and Venous Thromboembolism in Patients With COVID-19 A Prospective Cohort Study Annals of Internal Medicine, www.acpjournals.org

Tang N, , et al. Abnormal coagulation parameters are associated with poor prognosis in patients with novel coronavirus pneumonia. J Thromb Haemost. 2020;18:844-847. [PMID: 32073213] doi:10.1111/jth.14768

Marongiu F1, et al. Pulmonary thrombosis in 2019-nCoV pneumonia? J Thromb Haemost. 2020 Apr 15. doi: 10.1111/jth.14818. [Epub ahead of print]