Istituto Allergologico Italiano

Dal plasma di convalescente alle immunoglobuline monoclonali


Claudio Ortolani

Somministrare il plasma di un soggetto convalescente di una malattia virale incurabile significa somministrare a un individuo malato degli anticorpi prodotti da un altro individuo che è sopravvissuto alla stessa malattia. Trasfondendo il plasma di convalescente in pratica si iniettano tutti gli anticorpi che il sistema immunitario ha prodotto durante l’infezione nei confronti delle diverse strutture proteiche del virus, di cui solo pochi hanno la funzione di neutralizzarlo, inoltre sono somministrati anche gli anticorpi rivolti verso altri agenti infettivi presenti nel plasma e tutti i componenti solubili del plasma. Chiaramente si ricorre a questo trattamento solo in caso di estrema necessità. Un’evoluzione della sieroterapia originale è stata la profilassi e terapia con immunoglobuline immuni utilizzata da molti anni, ad esempio per la prevenzione del tetano. In questo caso, previa separazione da tutte le altre componenti del plasma si iniettano le sole immunoglobuline IgG, cioè la classe di anticorpi a più lunga persistenza e più abbondanti. Anche in questo caso solo una minima parte degli anticorpi inoculati sono funzionalmente utili, essendo diretti verso strutture essenziali per la neutralizzazione della tossina tetanica. Recentemente, tuttavia la terapia con anticorpi è rinata trasformandosi nei “farmaci biologici” che utilizzano anticorpi monoclonali prodotti nell’animale e poi “umanizzati” con un procedimento che li rende tollerati dal sistema immunitario umano. Questi anticorpi sono selezionati da cloni cellulari che producono anticorpi strutturalmente e funzionalmente identici tra loro e selezionati in pochissimi cloni: quelli che costruiscono anticorpi diretti verso determinate strutture di recettori o linfochine che in questo modo sono rese inattive. Attualmente si utilizzano numerosi farmaci biologici costituiti da anticorpi monoclonali per curare alcuni tumori, l’asma bronchiale difficile e diverse malattie reumatiche e autoimmunitarie. Nelle malattie infettive invece il loro utilizzo è stato pressochè insignificante e limitato a poche forme, le infezioni da virus respiratorio sinciziale, l'antrace e alcuni casi di HIV che non rispondono alle abituali terapie.

L’anno scorso tuttavia con la somministrazione di anticorpi monoclonali si è ottenuto per la prima volta un successo terapeutico nell’Ebola, malattia che fino allora aveva resistito ad ogni trattamento, sia con antivirali sia con le trasfusioni di plasma di sopravvissuti. Infatti, uno studio randomizzato e controllato su 681 pazienti affetti da Ebola, condotto nella Repubblica Democratica del Congo ha dimostrato una significativa riduzione della mortalità nei trattati con due preparati di monoclonali anti virus Ebola rispetto a trattati con altri farmaci. I due prodotti utilizzati erano il REGN Eb3 della Regeneral Pharmaceutical, composto da un cocktail di tre anticorpi monoclonali e il Mab 114 costituito da un singolo anticorpo monoclonale e sviluppato al National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID).

A livello pratico, i monoclonali sono relativamente difficili da creare. Cercherò di spiegare i concetti. Innanzi tutto va precisato che ogni anticorpo si combina con una piccolissima frazione della molecola antigenica, cioè con una struttura di dimensioni da 8 a qualche decina di aminoacidi, queste strutture che si legano all’anticorpo si definiscono epitopi. Un virus presenta in superfice migliaia di proteine con centinaia di migliaia di possibili epitopi e dato che tutte queste strutture sono estranee all’organismo il sistema immunitario produrrà un anticorpo per ciascuna di esse. Appare evidente che la stragrande maggioranza degli anticorpi non sembrano svolgere una diretta azione di neutralizzazione di un virus, compito riservato ai pochi di essi diretti verso epitopi in una posizione cruciale per bloccare una funzione del virus. Il SARS-CoV presenta sulla sua membrana cellulare una glicoproteina o proteina S, trimerica (cioè composta da tre subunità o monomeri legati tra loro) che dall’interno del virus protrude all’esterno costituendo le caratteristiche spicole della superficie del virus. Durante l'infezione virale, la proteina S trimerica viene suddivisa nelle subunità S1 e S2. S1 contiene il dominio di legame del recettore (RBD o Receptor Binding Dominion), struttura che si lega direttamente al dominio di legame del recettore cellulare ACE2, mentre S2 è responsabile della fusione della membrana e quindi dell’entrata del virus nella cellula. Quindi per neutralizzare il virus gli anticorpi devono essere esclusivamente diretti verso l’RDB. E’ stato calcolato che l’RDB del SARS-CoV-2 può presentare al massimo due epitopi indipendenti l’uno dall’altro, quindi per aver il massimo effetto neutralizzante nel caso del SARS-CoV-2 si dovranno utilizzare due anticorpi monoclonali. La Fig.1 può dare un’idea abbastanza fedele dell’entità delle strutture RBD nel contesto della glicoproteina S che costituisce lo spike e di quanto limitato sia lo spazio di combinazione con un anticorpo e quindi quanto pochi anticorpi specifici possano essere diretti all’RDB.

Struttura della proteina S trimerica di SARS-CoV-2 vista dall’altoFig.1 Struttura della proteina S trimerica di SARS-CoV-2 vista dall’alto (figura a sin) e lateralmente (figura a dx). Le strutture di legame con il recettore ACE2 sono colorate in azzurro: vi è una struttura RDB superiore (RDB up) e due inferiori (RDB down). Fonte: Yasunori Watanabe e coll. Site-specific glycan analysis of the SARS-CoV-2 spike. Science 4-May-2020 DOI: 10.1126/science.abb9983

Vi sono diversi modi di ottenere un anticorpo monoclonale umano. Il più comune è di prelevare i soggetti convalescenti con buon titolo di anticorpi neutralizzanti il virus e separare poi dal sangue i linfociti B che trasformandosi in plasmacellule produrranno gli anticorpi. Ogni cellula produce esclusivamente un anticorpo specifico per un determinato epitopo e quindi espandendo in una coltura cellulare un clone dii linfociti B selezionato si otterranno anticorpi tutti uguali, chiamati monoclonali essendo derivati da un unico clone cellulare. Per selezionare le cellule B che produrranno gli anticorpi che ci interessano si usano gli stessi epitopi come “esca”, nel caso del SARS-CoV-2 l’esca appropriata è l’RDB. Vi sono diversi metodi per “pescare” usando l’RDB le giuste cellule B che produrranno l’anticorpo monoclonale con effetto neutralizzante. Ad esempio il team della Astra-Zeneca ha collegato l’RDB a un supporto magnetico, come esca per selezionare la piccola percentuale di cellule B che produce anticorpi neutralizzanti specificamente rivolti verso questa struttura del SARS-CoV-2. La canadese Ab Cellera Biologics, utilizza come esca una versione ricombinante della proteina S riprodotta in 200.000 copie che vengono messe a contatto con i linfociti B in altrettante microcamere riempite di fluido. I monoclonali ottenuti con questo metodo in grande quantità e varietà vengono poi selezionati a poche unità in base a diversi criteri (specificità, stabilità nella produzione in serie).

Vi sono diverse ditte al mondo altamente specializzate nella metodica di produzione di anticorpi monoclonali ed è già partita la grande corsa alla realizzazione di farmaci biologici anti SARS-CoV-2. Infatti una volta ottenuto l’anticorpo monoclonale purificato è poi semplice e veloce farne una gran quantità di copie con il metodo del DNA ricombinante. Alcune ditte lavorano su due fronti sia estraendo anticorpi dal sangue di convalescenti sia producendo anticorpi mediante l’iniezione della proteina S1 nei topi, seguendo quindi il metodo tradizionale di preparazione di un anticorpo monoclonale.

Studi recenti, inoltre hanno dimostrato alcune identità strutturali al livello degli RDB di SARS-CoV-2 e di coronavirus agenti di altre malattie, come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente. Sulla base di queste ricerche Vir Biotechnology, ad esempio, ha scoperto che un anticorpo da lei ottenuto nel 2003 dal sangue di un convalescente alla SARS, quindi già in produzione neutralizza anche SARS-CoV-2. Questo anticorpo si lega infatti a una regione dell'RBD 'altamente conservata' tra i due coronavirus. Dopo un opportuno restauro di questo monoclonale è probabile che la Vir possa presto sperimentare l’efficacia di questo anticorpo nel COVID-19. La giapponese Takeda Pharmaceutical Co. sta preparando una miscela di anticorpi chiamata TAK-888 dal plasma di pazienti con SARS-CoV-2 recuperati per sviluppare un nuovo farmaco.

In definitiva diverse ditte farmaceutiche di grande capacità sia biotecnologica sia di produzione industriale di farmaci biologici si sta muovendo molto rapidamente nel campo della produzione di anticorpi monoclonali singoli o in cocktail con elevatissima capacità neutralizzante nei confronti del virus SARS-CoV-2. Gli anticorpi monoclonali potrebbero rivelarsi un “salva vite” per il COVID-19 con disponibilità entro qualche mese e da utilizzare in attesa, che sia registrato un vaccino sicuro e efficace anti SARS-CoV-2.

Questa soluzione va tuttavia considerata con prudenza, infatti i trattamenti biologici comportano non pochi problemi pratici. Questi farmaci sono stati finora riservati al trattamento di malattie relativamente poco frequenti e sono molto costosi. Difficilmente si può prevedere una loro applicazione su larga scala, come sarebbe necessario per la prevenzione e la cura di una malattia infettiva virale ad alta diffusione come il COVID-19.

Il problema principale è il loro costo elevato che è proibitivo per i Paesi più poveri e difficilmente sostenibile per i Servizi Sanitari di ogni altro Paese, a meno di non trovare il modo di ridurre il costo di produzione e il profitto.

Fonti: Jon Cohen: The race is on for antibodies that stop the new coronavirus. Science, 5 maggio 2020.
Yasunori Watanabe e coll. Site-specific glycan analysis of the SARS-CoV-2 spike. Science 4-May-2020 DOI: 10.1126/science.abb9983 Suman Saurabh e coll.: A modified ACE2 peptide mimic to block SARS-CoV-2 entry. BioRXiV 9 aprile 2020.