Istituto Allergologico Italiano

Il trattamento con plasma


Claudio Ortolani

Si sta parlando molto in questi giorni di trasfusioni di plasma di convalescente di COVID-19 come trattamento dei casi gravi colpiti dalla malattia. Pensiamo che sia utile fare una messa a punto sull’evidenza scientifica che c’è finora (prima parte) e dell’evoluzione che ci riserva il prossimo futuro della terapia con anticorpi specifici anti SARS-CoV2.

Parte Prima: il trattamento con plasma di convalescenti da COVID-19

Il Sistema Immunitario per difendersi dagli agenti esterni fabbrica anticorpi che circolano nel sangue e cellule (linfociti, macrofagi, eosinofili, granulociti, ecc) con attività killer. Dal 1880 si utilizzano anticorpi prodotti in un altro individuo (uomo o animale) per la profilassi e la terapia di alcune malattie infettive. In quegli anni appunto due ricercatori dell’Istituto del Prof. Robert Koch a Berlino, Adolf von Pirquet e Kitasato Shibasaburo hanno usato per la prima volta degli anticorpi prodotti in un animale per curare la difterite. Fu questa la prima mossa vincente della Scienza per vincere una malattia infettiva fino a quel momento incurabile e che comportava un’alta mortalità infantile. Nel 1901 von Pirquet e Shibasaburo furono meritatamente insigniti del Nobel per la Medicina.

La sieroterapia da allora ha fatto molta strada ed è stata mano a mano sostituita ai fini preventivi dai vaccini, questi ultimi stimolano l’organismo stesso a produrre sia gli anticorpi sia le cellule killer e ai fini terapeutici dagli antibiotici. Anche se oggi la sieroterapia è ormai praticamente in disuso, recentemente il plasma di convalescenti è stato usato come trattamento empirico durante alcune epidemie virali per le quali non c’erano terapie efficaci o vaccini.

Nel 2002 la comunità scientifica ha dovuto affrontare una grave epidemia causata dal virus SARS-CoV che era iniziata e diffusa nella provincia del Guangdong in Cina e che provoca una forma atipica di polmonite con grave insufficienza respiratoria ed alta mortalità. La malattia definita SARS dall’inglese Severe Acute Respiratory Syndrome non era curabile con vaccini o specifici antivirali. In quegli anni, come ultima risorsa per migliorare il tasso di sopravvivenza dei pazienti di SARS più gravi è stato usato Il plasma di convalescenti con risultato di una riduzione della mortalità, della durata della degenza ospedaliera nei trattati rispetto ai non trattati. Nel 2014, durante le epidemie della malattia da virus Ebola l’OMS ha raccomandato come trattamento empirico la trasfusione di plasma di convalescente prelevato a pazienti che avevano superato la malattia. Ancora nel 2015 è stato istituito un protocollo per l’uso di plasma di convalescente per il trattamento della sindrome Respiratoria del Medio Oriente altra malattia da coronavirus senza specifici trattamenti. Tutte queste applicazioni della trasfusione del plasma di convalescente purtroppo sono state documentate scientificamente da pochi studi clinici che quindi non permettono una completa valutazione scientifica.

Più consistenti evidenze scientifiche sull’efficacia del trattamento con plasma di convalescente nelle malattie virali provengono però da una serie di studi di buona qualità e di revisioni sistematiche degli studi condotti durante la pandemia influenzale da virus H1N1 del 2009. Nel loro complesso i risultati di questi studi dimostrano una significativa riduzione del rischio relativo di mortalità e una carica virale significativamente più bassa nei soggetti trasfusi con plasma di convalescenti, rispetto ai non trattati.

Attualmente ci troviamo ad affrontare la pandemia COVID-19 in assenza di trattamenti efficaci nei confronti del virus SARS-CoV-2. In questa situazione, tenuto conto delle precedenti esperienze di somministrazione di plasma di convalescenti in alcune malattie virali, specialmente nell’epidemia da virus influenzale H1N1 sembra utile sperimentare l’efficacia della trasfusione di plasma di convalescenti anche nei pazienti più gravi affetti da COVID-19.

In effetti in qualche Ospedale si è usato o si sta usando il trattamento di casi gravi di COVID-19 con siero di convalescente. Ad oggi sono stati pubblicati due soli studi ma molti altri sono in corso. Il primo studio pubblicato è stato condotto a Shenzhen, dal 20 gennaio 2020 al 25 marzo 2020 ed è stato pubblicato da JAMA (Journal of American Medical Association) il 27 marzo 2020. Si tratta di uno studio osservazionale e non controllato. Esso riferisce il risultato del trattamento con plasma di convalescenti in 5 pazienti in condizioni critiche, affetti da COVID-19 confermato in laboratorio con polmonite interstiziale acuta, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), carica virale costantemente elevata nonostante il trattamento antivirale, ipossiemia grave e in ventilazione meccanica. In 4 pazienti l'ARDS si è risolta 12 giorni dopo la trasfusione del plasma di convalescente e in 3 è stata sospesa la ventilazione meccanica entro 2 settimane dal trattamento. Dei 5 pazienti, 3 sono stati dimessi dall'Ospedale (durata del soggiorno: 53, 51 e 55 giorni) e 2 erano in condizioni stabili 37 giorni dopo la trasfusione. Da notare tuttavia che, per l’esiguo numero di pazienti e la mancanza di casi di controllo gli stessi autori ammettono che non si possono trarre conclusioni definitive da questo studio.

Il secondo studio è stato condotto a Nanjing ed è stato pubblicato sul Journal of Medical Virology il 15 aprile 2020. Il trattamento con plasma di convalescente è stato applicato a 6 pazienti affetti da COVID-19 confermato dal laboratorio. L'efficacia dell’intervento è stata determinata dalla riduzione dei sintomi, dalla risoluzione delle alterazioni radiologiche e dei test di laboratorio. In particolare il trattamento ha risolto le alterazioni radiologiche in 5 su 6 pazienti e in 2 di loro ha portato a negativizzazione del tampone. L'analisi sierologica ha mostrato un aumento immediato dopo la trasfusione dei titoli anticorpali anti-SARS-CoV-2 in 2 su 3 pazienti.

Per il momento è tutto quello che abbiamo come riferimenti dalla letteratura scientifica. Chiaramente sono i primi studi pubblicati ed eseguiti in grande emergenza e con protocolli inadeguati a dare una risposta definitiva alla domanda sull’efficacia e sicurezza di questo trattamento. Credo che sia corretto manifestare le diverse perplessità scientifiche su questi risultati preliminari. Innanzi tutto va detto che le due casistiche, sia pure pubblicate su ottime riviste (ma va detto al proposito che in questi giorni i giornali scientifici pubblicano tutto quanto riguarda il COVID-19 senza fare le abituali e rigorose verifiche scientifiche dell’articolo) sono veramente esigue e gli studi non sono Randomizzati e Controllati, cioè studi progettati per dare la massima qualità dell’evidenza scientifica. Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, casistiche così limitate non danno una completa garanzia che la trasfusione di plasma di convalescente sia privo di effetti collaterali. La somministrazione passiva di sieri di convalescenti, può dare infatti due categorie di effetti indesiderati, la prima è la possibilità di trasmettere altre infezioni del sangue mentre la seconda è che gli anticorpi verso una forma di coronavirus potrebbero peggiorare l'infezione di un altro ceppo virale. Un altro punto cruciale è il metodo adottato per selezionare il plasma da trasfondere. Ovviamente il plasma da selezionare per la donazione deve avere alti livelli di anticorpi IgG antivirali e soprattutto un potere di neutralizzazione virale elevato. Al momento però disponiamo di metodi di dosaggio degli anticorpi anti SARS-CoV2 di bassa efficienza, cioè la sensibilità e la specificità dei metodi in circolazione sono inadeguati a dare una risposta attendibile. In parole povere i test che risultano positivi hanno attualmente una quota percentualmente troppo alta di test in realtà negativi ma mascherati come “falsamente positivi” e viceversa i test che risultano negativi sono per una quota percentualmente troppo alta in realtà positivi ma “falsamente negativi”. Per superare definitivamente questo grave problema che limita tra l’altro la possibilità di fare degli studi epidemiologici attendibili sulla diffusione del coronavirus , il 29 aprile scorso gli NIH (i National Institutes of Health del US Federal Government) hanno lanciato un bando internazionale chiamato Rapid Acceleration of Diagnostics (RADx) per selezionare entro l’autunno 2020 dei metodi di diagnosi del Covid-19 (tampone e anticorpi) validati di alta sensibilità e specificità (Fig.1).

Rapid Acceleration of Diagnostics (RADx)

Anche il test della neutralizzazione virale, considerato il cardine per dimostrare l’attività antivirale del plasma non è attualmente standardizzato, ad esempio i due studi pubblicati riportano criteri diversi ai fini della selezione del siero da trasfondere.

Gli NIH pubblicano on line un elenco che è in continuo accrescimento di tutti gli Studi Clinici attualmente in corso nel mondo sul COVID-19. Oggi sono elencate 1208 sperimentazioni in corso sul COVID-19 (ma ogni giorno se ne aggiungono di nuove) di cui almeno 50 hanno come obbiettivo la valutazione dell’efficacia della terapia con trasfusioni di plasma di convalescente nella cura di pazienti ospedalizzati per COVID-19. Questa è un’ottima notizia perché l’alto numero di sperimentazioni in corso indica in primo luogo che questo trattamento è preso in seria considerazione dai ricercatori mondiali e in secondo luogo che i risultati di tutte queste sperimentazioni ci forniranno abbastanza presto tutte le risposte che cerchiamo su questo argomento.

Tra questi studi ce ne sono alcuni italiani e mi piace citare quello che si sta eseguendo a Pavia e a Mantova perché è uno dei primi iniziati sul COVID-19 in tutto il mondo. Infatti è al numero 31 dell’elenco con riferimento governativo US NCT04321421, è uno studio in aperto e longitudinale. La descrizione dello studio dice che l'aferesi da donatori recuperati verrà eseguita con un dispositivo di separazione cellulare, con 500-600 mL di plasma ottenuto da ciascun donatore. I donatori sono maschi, di età pari o superiore a 18 anni, valutati per malattie trasmissibili secondo la legge italiana. I test aggiuntivi per garantire la sicurezza di non trasmettere infezioni sono per il virus dell'epatite A, il virus dell'epatite E e il Parvovirus B-19. Tutti i donatori saranno testati per il titolo di neutralizzazione di Covid-19. E’ previsto l’arruolamento di 49 pazienti, non è prevista cecità, lo studio è iniziato il17 marzo 2020 e terminerà il 31 maggio 2020.
Quindi per avere un’opinione scientificamente valida sull’utilizzo del plasma di convalescente nella terapia dei casi gravi di COVID-19 dovremo attendere i risultati di questo studio e dei numerosi altri studi attualmente in corso nel mondo e successivamente quelli delle relative Revisioni Sistematiche che valutino la Qualità dell’Evidenza.